La rianimazione cardiopolmonare su pazienti in stadio avanzato di una malattia: un dilemma etico? L'autore di questo articolo (inglese) racconta un episodio accaduto: una signora di 89 anni (morta a casa per cause naturali cardiache) era stata visitata dall'infermiera di distretto pochi giorni prima che, avendola vista debole, aveva chiamato il servizio di emergenza. La signora nel frattempo è andata in arresto cardiaco ma l'infermiera di distretto non ha eseguito la RCP. Il suo datore di lavoro ha dichiarato di aver "imparato la lezione" e ha emesso nuove indicazioni sul fatto che "la RCP dovrebbe essere eseguita in tutti i casi", a meno che non ci sia chiara indicazione a un "non-resuscitate".
Come vi comportereste di fronte a un paziente che sta rapidamente peggiorando ma che nel pieno delle facoltà dichiara di desiderare una morte naturale e dignitosa senza alcun intervento medico o di RCP? Il Resuscitation Council (Regno Unito) e il Royal College of Nursing afferma che "la decisione finale in merito a rianimare o no dipende dagli operatori sanitari responsabili dell'assistenza immediata del paziente in quel momento" ma dall'altra parte un consiglio congiunto di infermieristica e ostetricia e il Royal College of Nursing sostengono che nelle situazioni in cui non esista una decisione esplicita in merito alla RCP, dovrebbe esserci una presunzione iniziale a favore (che non significa un'applicazione indiscriminata della RCP se non vi è di alcun beneficio nell'interesse di una persona).
La rianimazione può essere Dott. Jekyll o Mr. Hide. Quando ha successo e salva (spesso giovani) vite è dottor Jekyll ma se applicato "a tutti" indistintamente non può diventare un Mr. Hide? Rianimare e riportare a "in vita" qualcuno può avere una brutta faccia: una risvolto che medici e infermieri vedono troppo spesso e che conoscono. A non conoscerlo è "il laico", il non sanitario. "Se vogliamo smettere di medicalizzare l'inevitabile e ricordare il significato di una morte dignitosa e pacifica, riveliamo questa verità".
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