Il monito è chiaro: basta utilizzare la qualifica di infermiere in modo improprio. E a dirlo è l'ordine FNOPI. Obiettivo è tutelare la professione, soprattutto per evitare che si danneggi il rapporto di fiducia con i cittadini. Perchè anche se in un fatto di cronaca il protagonista è (incidentalmente) un infermiere la professione nulla ha a che fare con l’atto compiuto. Continuare a ribadire l’appartenenza ad una categoria professionale come fosse un “marchio” crea uno stato di sfiducia nel rapporto col cittadino. Come fare di tutta l'erba un fascio, insomma.
Questo quanto chiaramente scritto da FNOPI al Ministro della Salute, Giulia Grillo. "L'infermiere è il professionista laureato responsabile dell'assistenza infermieristica al paziente che esplica con interventi autonomi tecnico scientifici attraverso una complessa presa in carico". Ma questo non giustifica che certi reati vengano identificati con una categoria invece che con la persona che li ha compiuti.
Tutto prende spunto da due fatti di cronaca: il primo dove si parlava di un’infermiera invece che di un’operatrice sociosanitaria (confusione di ruoli ormai diventata un’abitudine) e il secondo relativo a un'infermiera a cui sono stati attribuiti dalla Magistratura "atti sessuali con minorenne e cessione di stupefacente" (tutto non in ambito professionale ma privato).
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